Gli ultimi dati emessi dalla Protezione Civile Italiana mostrano un progressivo aumento dei casi registrati in Italia e la tabella 1 fotografa la siatuazione italiana al 20 Marzo (COVID-19/schede-riepilogative at master · pcm-dpc/COVID-19 · GitHub).
Nell’ambito delle cause relative a questa rapida progressione in Italia rispetto ad altri paesi, uno degli argomenti, trattato da altri articoli in questi giorni, fa riferimento alla correlazione con la concentrazione di particolato (espresso come PM10 e PM2.5) nell’aria, soprattutto in Pianura Padana, un’area che si estende tra Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto: le regioni maggiormente colpite.
É noto infatti che l’esposizione al particolato aumenta l’incidenza dei problemi all´apparato respiratorio, che é proprio quello che questo virus va ad intaccare.
Dal momento che questo specifico argomento (emissioni e inquinamento) é il mio pane quotidiano da una quindicina d’anni, in questi giorni ho cercato anche io di analizzare la questione, provando a verificare una eventuale correlazione tra l´alto numero di casi e decessi per COVID-19 e le concentrazioni di particolato espresse come PM10 e PM2.5.
Come primo aspetto, mi sono posto la domanda di come riportare adeguatamente i dati di emissione di particolato.
Infatti, quando si affronta questo argomento, bisognerebbe essere molto puntuali, cercando di limitare le semplificazioni.
Al tempo stesso si ha la necessitá di veicolare l’informazione, senza confondere il lettore con dettagli e tecnicismi sicuramente fondamentali, ma probabilmente di non facile comprensione in poche righe.
Con la speranza di non essere né troppo tecnico né troppo vago, parto con le seguenti tre considerazioni, utili a spiegare i successivi dati.
In primis, le medie annuali non sono fedeli rappresentazioni di una eventuale elevata esposizione. Infatti, a seconda del periodo dell anno e della nazione, i valori registrati in alcuni mesi dell´anno sono due o tre volte superiori a quelli delle medie annuali.
Quindi sarebbe opportuno riportare sia il dato annuale che stagionale, facendo riferimento ai mesi peggiori in termini di concentrazioni.
In secondo luogo, riportare i valori del 2020 ha poco senso per l’analisi in questione (ha senso invece nello studio del possibile effetto del particolato come carrier del virus), in quanto gli effetti sulla salute sono il risultato di una esposizione nel tempo, negli anni. Quindi sono piú utili i dati degli anni passati.
Inoltre, riportare i dati mediati per ogni singola regione puó essere fuorviante, in quanto quello che realmente conta é l’esposizione dei singoli individui.
Poiché ovviamente non é fattibile, é comunque piú opportuno guardare i dati provinciali, facendo riferimento al capoluogo di provincia per avere una stima piú accurata.
In ogni caso parliamo di una stima, e non di un dato certo.
Fatta questa premessa, ho ritenuto utile poi utilizzare la seguente classificazione cromatica per facilitare la comprensione dei dati (vedi tabella 2): valori molto negativi in rosso, valori negativi in arancio, valori moderati in giallo, valori accettabili in verde e valori ottimi in blu.
Ricordo che il limite annuale per il PM10 é di 40 µg/m3 (con limite giornaliero fissato in 50 µg/m3 da non eccedere per piú di 35 giorni all anno) e per il PM2.5 é di 25 µg/m3.
Emissioni di PM10 e PM2.5 per le diverse cittá italiane
Per questa analisi, ho preso in esame i dati del World Health Organization in merito alla qualitá dell´aria per le diverse cittá italiane. I dati fanno riferimento alle medie annuali, espresse in µg/m3, negli anni antecedenti al 2018. Ho inoltre fatto riferimento al IQAir Database per i valori dei mesi di Gennaio e Febbraio 2019, incrociandoli con i dati ARPA (dove disponibili) per verificarne la correttezza.
Classificando le diverse province in base alle emissioni di PM2.5 (da quella con il valore medio piú elevato a quella con il valore medio piú basso) e riportando per semplicitá le prime venti (vedi Tabella 3), si puó osservare che sono presenti nove delle dodici province lombarde, cinque delle sei province venete e tre province piemontesi.
Non compaiono province emiliane-romagnole (la prima é Piacenza al 23° posto). Inoltre compaiono due province del centro Italia (Terni e Frosinone) ed una del sud Italia (Avellino).
Guardando l’ultima colonna di destra in cui ho riportato i valori medi dei mesi di gennaio e febbraio del 2019, si puó osservare per le regioni del nord Italia quanto piú elevati siano i valori in questo periodo dell´anno.
Da rilevare che la concentrazione piú alta é per due cittá del Veneto.
In generale, questa tabella non sorprende chi vive e conosce l’Italia, in quanto é ben noto da anni il problema delle elevate concentrazioni di particolato in Pianura Padana, specialmente nel periodo invernale.
Correlazione con il numero di casi di Covid-19
Sono quindi passato ad incrociare i dati ufficiali di COVID-19 per le diverse province rispetto a questa classificazione in base ai valori medi annuali di PM2.5 (vedi Figura 1).
Si puó immediatamente notare che, ad oggi mentre analizzo i dati (20 Marzo), non c´é una buona correlazione (trendline in rosso).
Sono abbastanza emblematici i casi di Bergamo (5154) e Brescia (4648), rispettivamente prima e seconda tra le province piú colpite dalla diffusione del virus, ma in quattordicesima e quinta posizione per valori medi di PM2.5 .
Allo stesso tempo, province come Vicenza, Venezia e Rovigo hanno valori medi molto alti di PM2.5 ma non un numero di casi comparabile con le province lombarde.
La correlazione non migliora se invece dei valori medi annuali si va a considerare il numero di giorni in cui si sono superati i limiti previsti (vedi Figura 2).
Nel 2019, Torino ha guidato questa speciale classifica davanti a Lodi e Pavia. Riutilizzando i casi di Brescia e Bergamo, queste due cittá hanno occupato rispettivamente la ventesima e venticinquesima posizione.
Ovviamente per poter avere una correlazione piú completa e corretta bisognerebbe conoscere il dettaglio relativo alla geolocalizzazione dei deceduti e valutare poi i valori di particolato locale.
Conclusione generale
La conclusione che traggo da questa analisi é che l’inquinamento dell’aria (per effetto di alte concentrazioni di particolato) rientra sicuramente tra i fattori da considerare (le regioni settentrionali hanno certamente una esposizione maggiore di quelle meridionali), ma non é certamente il fattore determinante come invece qualche altro articolo ha dato ad intendere in questi giorni.
A conferma di quanto scrivo, sarebbe bastato incrociare i dati italiani con i dati provenienti da altri paesi mondiali che stanno affrontando l´emergenza COVID-19 (vedi Tabella 3).
Si sarebbe potuto osservare come per esempio la Spagna, che ha uno dei valori di PM 2.5 piú bassi in Europa sia a livello nazionale che locale, abbia comunque registrato un numero elevato di decessi.
E al tempo stesso, si sarebbe potuto osservare che la Corea del Sud, uno dei paesi con concentrazioni medie piú alte al mondo soprattutto nei mesi invernali, registri un tasso di decessi molto inferiore alle altre nazioni.
L’esposizione al particolato é pertanto solo uno dei diversi fattori da aggiungere ed incrociare con gli altri fattori, giá messi in luce in precedenti articoli: percentuale elevata di over 65, percentuale di obesi, fumatori e scarsa attitudine ad una frequente attivitá sportiva.
Altre analisi e informazioni su Covid-19 al link: COVID-19 (Corona Virus) | EmigranTrailer.
Andrea De Filippo