Ho riflettuto diverse settimane (se non mesi) sulla necessitá o meno di esprimermi sulle discussioni periodicamenti presenti sull’inquinamento atmosferico, non perché non ho esperienza in merito (vedi al fondo dell’articolo), ma principalmente perché é un argomento decisamente complesso, che non si puó ridurre a poche righe o minuti di riflessione.
E infatti, negli ultimi anni, queste riflessioni molto approssimative hanno poi portato a generalizzazioni, semplificazioni, populismi e quindi ignoranza (nel senso che non si “sa neanche bene di cosa si sta parlando”), penalizzando i percorsi di miglioramento tecnologico in corso d’opera.
Non nego che spesso quando leggo un articolo (o ascolto qualcuno) che porta il tema sotto la luce dei riflettori, finisco sempre col farmi la domanda: “ma perché si presenta la questione in modo cosí approssimativo?”. E quello che mi sento di fare oggi é un piccolo tentativo per portare una visione un pó piú oggettiva o, quanto meno, stimolare domande e riflessioni alternative sulla questione.
Non mi aspetto di essere compreso ad una prima lettura veloce (soprattutto per i non addetti ai lavori), ma spero che qualcuno avrá la pazienza di leggere e rileggere ogni singolo paragrafo.
E, ovviamente, resto sempre a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Le basi
Partiamo dalle basi, cercando di focalizzare l’attenzione su quelli che, tra i principali inquinanti delle aree metropolitane, vengono spesso nominati: il particolato e gli ossidi di azoto.
Purtroppo, in molti casi, queste due categorie di inquinanti vengono nominate a sproposito. Oppure, volontariamente o involontariamente, vengono nominate facendo “tutto di un’erba un fascio“, confondendo questo o quell’inquinante, riportando informazioni da aree geografiche non pertinenti con quella di fondo dell’articolo, e veicolando un messaggio totalmente errato e improduttivo (nel senso che non si arriva a nessun reale miglioramento).
Il primo elemento di rilievo é se sappiamo realmente di cosa si sta parlando e se siamo in grado di fare un discorso privo di generalizzazioni quando si parla di inquinamento. Provo a semplificare con i due seguenti paragrafi.
Definizione di particolato (PM)
Il particolato (PM=Particolate Matter) é l’insieme di particelle (solide e liquide) sospese in aria. Sale marino, fuliggine, polveri, particelle condensate da processi chimici sono classificate come particolato. Possono essere emesse direttamente in atmosfera (particolato primario) oppure possono essere il risultato di reazioni chimiche che coinvolgono vari precursorsi, come ossidi di zolfo, ossidi di azoto e composti volatili organici. In questo ultimo caso, si parla di particolato secondario.
Indipendentemente dalla sua origine, che sia primario o secondario, gli attuali strumenti di misura consentono di monitorare e classificare il particolato in base alla dimensione. Il PM 10 rappresenta il particolato con diametro inferiore ai 10 microns, mentre il PM 2.5 rappresenta il particolato con diametro inferiore ai 2.5 microns. Da questa prima classificazione si comprende come il PM 10 raggruppa anche il PM 2.5. Infatti, negli ultimi anni si é deciso di sotto-classificare il PM 10 in PM 2.5 in quanto diversi studi hanno dimostrato che le particelle di dimensioni piú piccole possono essere piú dannose e pericolose per gli esseri umani.
Definizione di ossidi di azoto (NOx)
Gli ossidi di azoto sono generati principalmente dai processi di combustione, come quelli che occorrono nei motori a combustione interna, negli impianti industriali e anche da eventi naturali (fulmini, incendi, eruzioni vulcaniche).
Tra gli ossidi di azoto, si pone una specifica attenzione al diossido di azoto (NO2) che ha effetti dannosi a chi é giá malato di asma o soffre di problemi alle vie respiratorie. Gli ossidi di azoto contribuiscono anche alla formazione di particolato secondario. Il loro contributo non puó essere definito in maniera generica e varia a seconda della specifica area geografica e delle emissioni di altri inquinanti. Questo é un primo aspetto in cui non é possibile fare una generalizzazione.
Le fonti di emissioni negli ultimi 15 anni e l’impatto del lockdown a seguito della pandemia legata a COVID-19
Il secondo elemento di rilievo é se, al di lá di titoloni sui giornali, sappiamo realmente cosa stabiliscono anni di ricerca scientifica e cosa stabiliscono gli enti ufficiali europei dedicati alla salvaguardia ambientale. E questo é il contenuto del successivo paragrafo. E´lungo, ma é molto importante se si vuole davvero capire come risolvere la questione inquinamento delle aree metropolitane europee ed italiane.
Le fonti di emissioni e lo stato attuale in Europa e in Italia
L’ European Environmental Agency (EEA) monitora costantemente i livelli di inquinanti in Europa (https://www.eea.europa.eu/themes/air). Navigando sul sito, si puó immediatamente verificare cosa é accaduto negli ultimi 15 anni in merito alle emissioni di particolato e agli ossidi azoto e quale settore ha dato il maggior o minor contributo. I grafici presentati sul sito dell’EEA sono di facile intuizione e per valutare gli specifici contributi; basta muovere il cursore in prossimitá dei grafici a barre (le figure che invece allego di seguito non sono interattive).
Per poter avere un quadro piú fedele possibile della situazione in area metropolitana, ho preso in esame i dati delle centraline del traffico.
PM 2.5 in Europa
Per il PM2.5, il maggior contributo arriva dal settore che accorpa attivitá residenziali, commerciali e istituzionali (vedi barra verde chiara in Figura 1).
Nel 2005, con 778 Giga grammi, le emissioni prodotte da attivitá residenziali, commerciali e istituzionali rappresentavano il 44% del totale delle emissioni (1675 Giga grammi); nel 2018, con 675 Giga grammi rappresentavano ancora il 53% del totale delle emissioni (1254 Giga grammi).
Si puó osservare che negli anni c’e´stata una generale riduzione di emissioni, ma questo settore é quello sul quale bisognerebbe accentrare l’attenzione per migliorare davvero la qualitá dell’aria nelle grandi cittá. Continuando a puntare il dito su altri settori (che stanno facendo la loro parte), é solo uno specchietto per le allodole per non investire risorse e denaro nell’ ammordernizzazione di edifici, impianti di riscaldamento e altre strutture che sono la maggiore fonte di queste emissioni. Non lo dico io. Lo dicono i dati che sono pubblici e disponibili a tutti, anche ai giornalisti (se vogliono fare seriamente il loro mestiere) e politici locali e nazionali (se vogliono davvero fare qualcosa per migliorare la situazione).
Nel prossimo inverno, mi aspetto nuovamente problemi di inquinamento in alcune metropoli europee, soprattutto quelle italiane dove siamo indietro sul miglioramento di edifici pubblici e residenziali in tema di efficienza energetica, e mi aspetto il solito giornalista disinformato che, quando si parla di particolato, prepara il titolone “contro le autovetture” o il politico di turno che dichiara “blocchiamo le auto nel weekend o dall’ora x fino all’ora y”. Sull’ argomento, provate a chiedere di valutare i dati delle emissioni di particolato in tutte le giornate in cui il traffico é stato ridotto o bloccato. Potreste rimanere sorpresi dai risultati. Comunque su questo aspetto ci torno tra poco.
Nel frattempo, perché scrivo questo? Perché dati alla mano, le cose stanno leggermente in maniera diversa da come vengono “narrate”.
Mi spiego. Nel 2018, il settore dei trasporti ha rappresentato solo il 13% del totale delle emissioni con 162 Giga grammi. Se andiamo ancora piú nel dettaglio, le emissioni di PM2.5 prodotte dalle autovetture (passenger cars) sono state solo 42,12 Giga grammi, ovvero il 3,35%. Stiamo parlando del 3,35%!!!
Quindi, per la riduzione del particolato, soprattutto quello ultrafine e potenzialmente piú dannoso, non dico che non bisogna migliorare le attuali vetture in circolazione. Lo si sta facendo e lo si continuerá a fare. Dico solo che non é questo settore il problema principale per questa categoria di emissioni. C’é piú di un 96% che andrebbe posto sotto lente di ingrandimento per avere un effettivo miglioramento. E questo puntualmente, ogni anno, viene ignorato.
PM 2.5 in Italia
Se si analizza poi in dettaglio il grafico per il territorio italiano, vediamo che la situazione é ancora piú esplicita che nel resto d’ Europa (vedi barra verde chiara in Figura 2).
Il settore che accorpa attivitá residenziali, commerciali e istituzionali, con circa 94 Giga grammi, rappresenta il 65% del totale (143,39 Giga Grammi) mentre il settore dei trasporti rappresenta il 15% del totale con 21,1 Giga grammi. Il contributo delle autovetture é ancora piú inferiore: 5,7 Giga grammi ovvero il 4% del totale.
Quindi, come per il resto d’Europa, c’é circa un 96% di contributo di cui nessuno o pochi parlano, sui media o tramite i canali politici.
Ma voglio tornare sul punto di prima legato alle giornate di “blocco del traffico”. Il periodo di lockdown dovuto al COVID-19, nella sua tragicitá, ha rappresentato una palestra di studio ideale delle emissioni, soprattutto in ambiente metropolitano. Insomma, chi ha avuto voglia di studiarsi per bene i dati, ha trovato molto utile questo periodo per capire quanto davvero le autovetture contribuiscono all’ inquinamento da particolato.
A tal fine, ho preso in esame i dati pubblicati dall’ EEA in merito all’impatto del COVID-19 sull’inquinamento (https://www.eea.europa.eu/themes/air/air-quality-and-covid19/monitoring-covid-19-impacts-on). È un lavoro lodevole e meritevole che l’EEA sta facendo e consiglio a tutti di dargli un’occhiata.
Personalmente ho analizzato un pó tutti i dati e, per semplicitá, ho preso in esame le emissioni di PM 2.5 da tre grandi cittá italiane, quelle piú popolose, per avere un quadro piú rappresentativo del paese: Milano, Roma e Napoli.
Ho confrontato i dati del 2019 con quelli del 2020, in cui ho indicato pressappoco la finestra di lockdown (9 Marzo-18 Maggio 2020) (vedi Figura 3a, 4a, 5a). In figura ho riportato i valori medi mensili cosí come pubblicati sul sito EEA al 3 Ottobre 2020.
Che cosa è emerso?
Nulla di nuovo per chi studia realmente questo problema, per chi lavora seriamente da anni sulla questione, per chi evita di scrivere baggianate per fare titoloni sui giornali o per chi fa dichiarazioni populiste da questo o quel programma televisivo.
Ovvero, é emerso che, nel periodo piú restrittivo del lockdown 2020:
- A Milano, le emissioni di PM 2.5 sono mediamente aumentate rispetto al 2019, registrando un complessivo aumento circa 3 ug/m3 (Marzo e Aprile);
- A Roma, le emissioni di PM 2.5 sono rimaste quasi invariate rispetto al 2019, registrando una complessiva diminuzione di circa 1 ug/m3 (Marzo e Aprile);
- A Napoli, le emissioni di PM 2.5 sono aumentate nelle prime settimane e poi diminuite rispetto al 2019, registrando praticamente gli stessi valori medi (Marzo e Aprile).
Come si spiega questa situazione? Piú o meno tutte le grandi cittá hanno visto una enorme riduzione del traffico cittadino ed extra-cittadino in quei due mesi. La risposta sta semplicemente nell’ analizzare la situazione senza pregiudizi su un settore (quello automobilistico) e guardando in modo obiettivo. Il settore delle autovetture c’entra poco (il 3-4%) con queste emissioni. Il settore principale che contribuisce a queste emissioni (in Italia piú del 60%) é quello delle attivitá residenziali, commerciali e istituzionali.
Provo a semplificare. Quando parliamo di inquinamento legato alle attivitá residenziali, commerciali e istituzionali, si parla principalmente delle emissioni legate all’utilizzo dei sistemi di riscaldamento.
Milano é una cittá in cui i riscaldamenti sono attivi in modo centralizzato dal 15 Ottobre al 15 Aprile. Dal grafico di Milano (figura 3a), si puó osservare come con il passare delle settimane tra Marzo 2020 e Maggio 2020, la forbice, tra i dati del 2019 e del 2020, sia andata conseguentemente a ridursi con l’ aumento delle temperature e con lo spegnimento dei riscaldamenti. Infatti, a paritá di temperature tra un anno e l’altro (figura 3b), avendo quest’ anno piú persone passato tempo in casa, é stato consequenziale che la durata giornaliera dei riscaldamenti autonomi abbia avuto un notevole incremento.
Roma é una cittá in cui i riscaldamenti sono attivi dal 1 Novembre al 14 Aprile. Tra Marzo e Aprile 2020, Roma ha avuto una situazione pressocché analoga al 2019 (figura 4a). I valori leggermente inferiori di Marzo sono la conseguenza di un periodo precedente (Febbraio) leggermente piú caldo (circa 2°C) dell’ anno passato (figura 4b). Poi le settimane fino a fine Aprile a seguire sono state praticamente la fotocopia del 2019 in termini di temperatura e umiditá (di cui non pubblico i dati che peró potete trovare sul sito da cui ho analizzato le temperature).
Napoli é una cittá in cui i riscaldamenti sono attivi dal 15 Novembre al 31 Marzo. Quindi solo le primissime settimane di lockdown si sono sovrapposte ad un potenziale utilizzo eccessivo dei riscaldamenti. Non a caso, è solo a Marzo 2020 che si é registrato un aumento delle emissioni di PM 2.5 (figura 5a). Ad Aprile 2020 é rimasto praticamente invariato rispetto al 2019 mentre a Maggio 2020 é tornato ad aumentare, pur con temperature mediamente di 4°C piú elevate (Figura 5b) e pur con i riscaldamenti spenti.
Allora, cosa é cambiato a Maggio rispetto al 2019? Semplicemente c’é stata una notevole variazione di umiditá e di giorni di pioggia: a Maggio 2019 sono stati 18, mentre a Maggio 2020 sono stati solo 4!
Temperatura, umiditá, pioggia e vento, sono tutti elementi fondamentali quando si parla di “particelle sospese in aria” (particolato). Tra le tre, Napoli é quella piú avvantaggiata per la sua posizione geografica. Milano é quella piú svantaggiata, essendo nel cuore della pianura padana, dove il problema della stagnazione dell’aria nel periodo invernale, é quello che alimenta la persistenza di elevati valori giornalieri di emissioni di particolato.
Quindi é un argomento davvero complesso e, alla fine di questa prima carrellata di dati e parole, dovrebbe essere un pó piú chiaro a tutti che, quando si parla di inquinamento da particolato (soprattutto quello ultrafine, PM 2.5), bisognerebbe indirizzare l’attenzione su molti settori, in aggiunta a quello dei trasporti (che comunque va monitorato e migliorato) e delle autovetture.
NOx in Europa
Sperando che il livello di attenzione sia ancora elevato, passiamo all’altra tipologia di inquinanti che caratterizza le aree urbane: gli ossidi di azoto (NOx).
Per gli NOx, il maggior contributo arriva proprio dal settore dei trasporti (vedi barra verde scura in Figura 6).
Nel 2005, con 5776 Giga grammi, le emissioni prodotte da questo settore rappresentavano il 47% del totale delle emissioni (12253 Giga grammi); nel 2018, con 3406 Giga grammi rappresentavano ancora il 47% del totale delle emissioni (7272 Giga grammi).
Negli anni c’e´stata una generale riduzione di emissioni, ed il settore dei trasporti ha fortemente contribuito, andando di pari passo alla riduzione promossa dagli altri settori.
Va detto che il settore dei trasporti é l’insieme di una due principali sotto-categorie: trasporto su strada (autovetture, veicoli commerciali, motocicli, autobus e camion) e trasporto off-road (navi, treni, tram, aerei, etc.). Negli ultimi anni, si é posta l’attenzione alle emissioni di ossidi di azoto prodotte dalle autovetture, specialmente in ambiente urbano. Sulla base dei dati dell’EEA, si puó osservare come le autovetture (passenger cars) siano passate da 2253 Giga grammi del 2005 (18% del totale) a 1669 Giga grammi del 2018 (23% del totale). Quindi nonostante una forte riduzione negli ultimi 15 anni, l’ inquinamento di ossidi di azoto prodotto dalle autovetture rappresenta tutt’ora circa un quarto del totale.
Per chi lavora nel settore non é una informazione sorprendente. In questo ultimo decennio, per la riduzione degli ossidi di azoto in ambiente urbano, si é lavorato alacremente a livello tecnologico per migliorare lo stato delle vetture in circolazione e per mettere su strada vetture sempre meno inquinanti. E qui potrei spendere ore a parlare delle tecnologie di post-trattamento degli inquinanti, ma per molti di voi sarebbero discorsi noiosi e complicati. Tralascio pertanto l’aspetto tecnologico, e mi concentro su quello sociale, politico, mediatico e economico.
In sintesi, tutto questo sviluppo tecnologico nel contesto delle autovetture é stato fortemente penalizzato (e reso quasi inutile) dallo scandalo che ha coinvolto un’azienda automobilistica nel 2015 e dalla successiva demonizzazione di un settore (quello delle autovetture ad alimentazione Diesel). Le consequenze sono state che:
- Le amministrazioni locali e nazionali hanno fortemente penalizzato l’utilizzo di tutta una categoria di autovetture, senza fare un necessario distinguo tra quelle di vecchia generazione (piú inquinanti) e nuova generazione. Insomma, hanno fatto di un’erba un fascio senza considerare le conseguenze;
- Le vendite delle vetture di nuova generazione sono crollate;
- I cittadini hanno tenuto ancora piú a lungo quelle di vecchia generazione (quindi in linea di massima piú inquinanti perché non rinnovate tecnologicamente);
- Si é instaurato il concetto di “demonizzazione del diesel”, spesso usato in modo populistico e propagandistico senza il dovuto approccio informativo e scientifico;
- Sono state create aziende o agenzie con il solo scopo di trovare una qualsiasi autovettura che non fosse in regola, quindi puntando il focus su un solo settore e tralasciando invece i necessari miglioramenti in altri settori (ci torno in seguito su questo aspetto);
- Le aziende automobilistiche hanno smesso di investire risorse come in passato in ulteriore sviluppo della tecnologia diesel, in quanto il mercato non ha piú un futuro;
- Molte aziende automobilistiche (e tutte quelle dell’ indotto) hanno chiuso sezioni interne, ricollocando o licenziando impiegati.
Personalmente ho ritenuto completamente errata questa demonizzazione, perché basata su disinformazione e altri interessi, e non mi aspetto significativi miglioramenti in questo settore, il cui contributo diventerá sempre piú marginale. Quindi, mi auguro che le amministrazioni, i politici e i media si focalizzino poi sul restante 75% dei settori che contribuiscono a queste emissioni. Insomma, tra qualche anno la “scusante” delle autovetture diesel non reggerá piú, e mi aspetto interventi concreti in altri settori.
NOx in Italia
Torniamo peró ai dati disponibili ad oggi, quelli dell’EEA, e se si analizza poi la situazione per il territorio italiano (Figura 7), vediamo che il contributo di alcuni settori é ancora piú evidente che nel resto d’ Europa.
Nel 2018, il settore dei trasporti, con circa 337 Giga grammi, ha rappresentato il 57% del totale (669 Giga Grammi) ed il contributo delle autovetture é stato di circa 200 Giga grammi ovvero circa il 29 % del totale. Quindi, superiore alla media europea.
Mi sono quindi chiesto, come per il particolato, se la finestra di lockdown del 2020, con l’enorme limitazione delle autovetture, permettesse di valutare “sul campo” quanto davvero le autovetture contribuiscono all’ inquinamento da ossidi di azoto.
A tal fine, ho nuovamente preso in esame i dati pubblicati dall’ EEA in merito all’impatto del COVID-19 sull’inquinamento (https://www.eea.europa.eu/themes/air/air-quality-and-covid19/monitoring-covid-19-impacts-on).
Come per il PM2.5, ho analizzato e preso in esame le emissioni di NO2 da tre grandi cittá italiane, quelle piú popolose, per avere un quadro piú rappresentativo del paese: Milano, Roma e Napoli.
Ho confrontato i dati del 2019 con quelli del 2020, in cui ho indicato pressappoco la finestra di lockdown (9 Marzo-18 Maggio) (Figura 8, 9 e 10). In figura ho riportato i valori medi mensili cosí come pubblicati sul sito al 3 Ottobre 2020.
Che cosa è emerso?
Sono emerse cose attese e cose inattese.
Ovvero, é emerso che, nel periodo di lockdown 2020:
- A Milano, le emissioni di NO2 sono mediamente diminuite rispetto al 2019, registrando una complessiva riduzione media di circa 11 ug/m3 (Marzo e Aprile);
- A Roma, le emissioni di NO2 sono mediamente diminuite rispetto al 2019, registrando una complessiva riduzione media di circa 28 ug/m3 (Marzo e Aprile);
- A Napoli, le emissioni di NO2 sono mediamente diminuite rispetto al 2019, registrando una complessiva riduzione media di circa 18 ug/m3 (Marzo e Aprile).
Quindi abbiamo tre risultati fondamentali.
Il primo é una generale riduzione degli NO2 nei grandi centri abitati, attribuibile al blocco o riduzione dei trasporti nel periodo di lockdown. Non é un risultato sorprendente. E´esattamente quello che ci si aspetta se questo settore contribuisce per circa il 30% delle emissioni di NO2.
Il secondo é che in nessuno dei casi un azzeramento delle emissioni di NO2. Anche questo non é un risultato sorprendente, se si é obiettivi e si considera il restante 70% dei settori che contribusicono a queste emissioni. Lo sottolineo perché a volte sembra che tutto sia dovuto alle autovetture.
Il terzo é un diverso ammontare di questa riduzione degli NO2 tra le tre grandi cittá italiane. Quest’ ultimo é un elemento che ho trovato particolamente interessante e che ho voluto analizzare piú in dettaglio. Infatti, tra Marzo e Aprile, mentre Roma e Napoli hanno avuto una riduzione media rispettivamente del 52% e del 46% tra 2020 e 2019, Milano si é fermata ad una riduzione media molto piú bassa, ovvero il 27%. Ora, assumendo che ci sia sta analoga circolazione di vetture nelle tre aree metropolitane, e che questa sia stata pressocché nulla, mi sono chiesto come mai Milano non avesse raggiunto una riduzione simile a quella di Roma e Napoli. La risposta é nuovamente in quel 70% di emissioni che viene da altri settori.
Nello specifico, Milano (e l’area circostante della Lombardia e Pianura Padana) é il centro nevralgico di molti distretti industriali in Italia. Si possono analizzare sia i dati istat (pubblicati nel 2015 e relativi al 2011 ma tutt’ora validi) per l’ industria meccanica (Figura 5.1: https://www.istat.it/it/files/2015/10/I-distretti-industriali-2011.pdf) sia diversi altri articoli in merito, come quello delle Piccole Medie Imprese italiane, concentrandosi su quei distretti industriali dove il processo produttivo richiede una qualche forma continua di combustione (PMI.it – Informazione ICT e Business per piccole e medie imprese). E questo settore non puó essere ignorato nel momento in cui si affronta la questione di miglioramento delle aree metropolitane, soprattutto quelle della pianura padana, che rappresenta una zona geografica sfavorevole dal punto di vista di stagnazione dell’aria nel periodo invernale.
Quindi, quando si parla di inquinamento dovuto ad ossidi di azoto, bisognerebbe indirizzare l’attenzione sicuramente sul settore dei trasporti (tenendo presente le considerazioni fatte sulla comunicazione mediatica e politica degli ultimi 5 anni) ma non possono essere tralasciati i restanti settori.
PM10
Volendo poi concludere questo paragrafo in modo esaustivo é opportuno riportare anche i dati di PM 10, cioé la categoria piú ampia di particolato che comprende tutte le particelle con diametro inferiore ai 10 microns. Aggiungo questi ulteriori grafici (Figura 11, 12, 13), relativi sempre alle cittá di Milano, Roma e Napoli, perché una delle osservazioni classiche sul tema é il contributo del particolato secondario, che alla fine contribuisce ai livelli misurati di particolato.
Dai tre grafici, si puó ulteriormente osservare come in tutte e tre le cittá, nel periodo di lockdown, ci sia stata una lieve riduzione rispetto all’ anno precedente:
- A Milano, le emissioni di PM 10 sono mediamente diminuite rispetto al 2019, registrando una complessiva riduzione media di circa 1 ug/m3 (Marzo e Aprile);
- A Roma, le emissioni di PM 10 sono mediamente diminuite rispetto al 2019, registrando una complessiva riduzione media di circa 4 ug/m3 (Marzo e Aprile);
- A Napoli, le emissioni di PM 10 sono mediamente diminuite rispetto al 2019, registrando una complessiva riduzione media di circa 4 ug/m3 (Marzo e Aprile).
Questi dati confermano quanto analizzato precedentemente.
Infatti, assumendo che parte del particolato secondario si sia generato da reazioni chimiche che coinvolgono gli ossidi di azoto, principalmente prodotte dal settore dei trasporti, é comprensibile una riduzione anche del PM 10. Allo stesso tempo, si puó peró anche osservare che questa riduzione é completamente marginale (per esempio a Milano è stata praticamente nulla) e non proporzionale a quanto osservato per gli ossidi di azoto. Questo riporta alle osservazioni precedenti sulla necessitá di avere una visione un pó piú completa e obiettiva su tutti i settori che contribuiscono alle emissioni di inquinanti.
Per quanto concerne il periodo successivo al lockdown, l’analisi dei dati é di piú difficile interpretazione per la diversa risposta che c’é stata tra le varie regioni, per la diversa ripresa delle attivitá industriali, per la diversa mobilitá dei cittadini che hanno per esempio aumento le ore di lavoro da casa e per le diverse condizioni meteorologiche. In particolare, il diverso andamento nel periodo di Giugno, con valori ridotti di PM nel 2020 rispetto al 2019, é anche attribuile ad una elevato numero di giorni di pioggia:
- Milano: https://www.emigrantrailer.com/wp-content/uploads/2020/10/Emigrantrailer_EEA_Giorni-di-Pioggia_Milano.png;
- Roma: https://www.emigrantrailer.com/wp-content/uploads/2020/10/Emigrantrailer_EEA_Giorni-di-Pioggia_Roma.png;
- Napoli: https://www.emigrantrailer.com/wp-content/uploads/2020/10/Emigrantrailer_EEA_Giorni-di-Pioggia_Napoli.png
Sicuramente sará importante ed interessante osservare gli effetti sull’inquinamento del nuovo stile di vita imposto da questa pandemia.
La preparazione, la formazione ed il conflitto di interesse di chi tratta di inquinamento
L’ultimo elemento di rilievo di questa lunga (e spero utile a qualcuno) analisi é relativo sempre ad una corretta valutazione di “chi sta dicendo o scrivendo cosa” e soprattutto in “che modo”. Sto parlando insomma della formazione e conoscenza dell’argomento e anche di un eventuale conflitto di interesse.
E su questo ultimo punto, in maniera molto trasparente, parto proprio da me stesso. Eh sí , perché qualcuno potrebbe dirmi “vabbè, Andre. Peró tu potresti essere di parte perché lavori nel settore dei trasporti”.
E la mia risposta sarebbe molto semplice (“Vero, lavoro nel settore dei trasporti“) seguita da altrettante semplici domande:
- Ho omesso qualche dato relativo ai trasporti?
- Ho negato il contributo dei trasporti sulle due tipologie di emissioni e il documentato effettivo contributo?
- Ho solo parlato e espresso opinioni oppure ho supportato l’ articolo con dei dati?
- Ho utilizzato dati personali oppure ho fatto riferimento a fonti “super partes”, tipo l’Agenzia Europea per l’ ambiente?
- Ho fatto un titolo sensazionalistico puntando il dito contro un determinato settore?
Ecco, vi invito a fare le domande “in terza persona” quando leggete o ascoltate un giornalista o un politico. L’eventuale numero di risposte positive a queste domande potrebbe darvi un’idea della qualitá ed attendibilitá di chi ha trattato il tema.
L’altro aspetto é avere le giuste o adeguate conoscenze per affrontare questo tema. Su questo, poiché a volte faccio fatica a digerire certi articoli o discorsi, non posso non valorizzare anni di studi e sacrifici e, visto che viviamo in una societá dove conta (purtroppo) molto l’apparenza, ci tengo a chiarire che, al di lá di postare spesso foto con una fascia improponibile tra i capelli, ho anche una laurea (quinquennale) in Ingegneria Chimica, un post-laurea ed un dottorato di ricerca sempre in Ingegneria Chimica, piú collaborazioni passate con enti governativi italiani e americani, sullo studio di emissioni (soprattutto particolato), la loro natura, la loro classificazione e l’impatto ambientale. Quindi, dovrei avere aquisito un minimo di competenza in merito.
Inoltre, agli anni di ricerca universitaria, si aggiungono quelli (circa 12) nel settore dei trasporti, con lo scopo primario di migliorare ulteriormente le emissioni di inquinanti dalle autovetture. A tal proposito, giorni fa, durante una sessione di Leadership aziendale, mi hanno chiesto quale fosse il mio “noble principle”, quello che mi spinge ad alzarmi dal letto ogni mattina. Ho impiegato dai tre ai cinque secondi a rispondere: “fare il possibile per avere un mondo meno inquinato”. E di certo non era una frase fatta in quanto non mi stavano incoronando come “Mister o Miss Germania 2020”.
Infine, amo la natura, l’ambiente e uso principalmente le gambe (che sia in bici o con un paio di scarpe di ginnastica) per muovermi. Avrei anche una macchina ma, prima di prenderla, mi faccio sempre questa domanda: “è davvero necessaria per quello che voglio e devo fare?”. E mi faccio una domanda analoga sull’utilizzo di energia: “ho davvero bisogno di questa temperatura in casa per il tempo che ci sono?”
Insomma, il punto che voglio mettere in rilevo é che, su questa questione, bisogna sempre avere una visione di insieme. E la visione di insieme include anche farsi le giuste domande sul giornalista (blogger o chiunque esso sia) che sta scrivendo un articolo in un certo modo o sul politico di turno che spara sui social slogan per “andare alla pancia del popolo”. Alla prima occasione, ad entrambi, provate a chiedergli (o magari a scrivergli via social, visto che é possibile) se sa cosa vuol dire particolato? Provate a chiedergli cosa sono gli ossidi di azoto? Provate a chidergli se sa come funzionano gli strumenti misura per questi inquinanti? Provate a chiedergli se (e quali) iniziative sono state intraprese nel settore industriale, residenziale, commerciale, in aggiunta alla settore dei trasporti, per il miglioramento delle emissioni in areee metropolitane? Provate a chiedergli perché nelle grandi aree metropolitane, tra Novembre e Febbraio, c’è sempre questa emergenza smog? Provate a chiedergli di quanto si sono realmente ridotte le emissioni (tutte) nei giorni di blocco del traffico settimanale (non valgono i fine settimana in cui anche le industrie sono a regime ridotto…)? Provate a chiedergli di spiegarvi i dati che riporta l’agenzia europea sull’ ambiente, come nelle figure che ho allegato qui? Provate a chiedergli di rendere visibili i finanziamenti privati che arrivano al rispettivo giornale o partito, giusto per capire con quale settore ci puó essere un potenziale conflitto di interessi (trasporti, energia, etc.)? E così via.
Concludo dicendo che, come per tanti argomenti, basterebbe che anche su questa questione si applicasse un semplice e antico insegnamento: “In medio stat virtus”. Gli estremi, il bianco e il nero, sono per populisti, giustizialisti e propagandisti, non per chi vuol davvero informare e migliorare le cose.
Un saluto
Andrea De Filippo
p.s. vi invito a rileggere poi questa analisi quando, da Novembre fino a Febbraio, sui giornali italiani ci saranno svariati titoloni sullo “smog” in cittá, sull’inquinamento, sul blocco del traffico, etc etc.
Update: 23.01.2021
Unica nota su un articolo ben fatto: dalle conclusioni dell’articolo sembra che le istituzioni si concentrino bel limitare le emissioni dei trasporti, senza occuparsi degli altri settori. Ora, a me sembra tutto l’opposto……per i trasporti, a parte qualche blocco invernale di dubbia utilità, viene fatto ben poco a parte propaganda (solo da fine 2019 c’è tutto il discorso legato alle multe sulle emissioni di CO2), mentre nel residenziale, sono 10 anni che c’è una detrazione > del 50% sulle ristrutturazioni, ed oggi arriva al 110%….ora mi chiedo, ma piú di così, sul residenziale, cosa dovrebbe fare un governo?! Cosa ne pensi?
Ciao Filippo, grazie del commento. Mi aspettavo una osservazione in questa direzione, peró non confondiamo particolato e ossidi di azoto con anidride carbonica (CO2). L’ articolo si concentra sui due inquinanti che sono responsabili pricipalmente dell’inquinamento atmosferico in area urbana. Su questi inquinanti, il settore dei trasporti ha fatto molto negli ultimi anni. In particolare, sul particolato, si sono ridotte di gran lunga le emissioni. Peró non é il settore piú determinante per ridurre il particolato. I dati dell’EEA mostrano da decenni come siano altri i settori che “pesano” di piú: residenziali, commerciali e istituzionali. Cosa vuole dire questo? Vuol dire che in questi settori non si sono ancora applicate le norme rigide che ci sono sui trasporti. Tradotto in termini semplici: come vengono ridotti “al camino” gli inquinanti prodotti da ristorazione, officine meccaniche, riscaldamenti residenziali e scolastici (ho fatto solo gli esempi piú lampanti)? Abbiamo dei filtri come sulle autovetture? Abbiamo lo stesso livello di emissione oraria? Ad esempio, abbiamo in mente quanto pesano le emissioni orarie di particolato tra un sistema di riscaldamento ed una autovettura? In inverno ci sono zone in cui dai riscaldamenti (ma vale anche per le altre attivitá commerciali) vengono immesse in aria inquiannti per 10-12 ore. Raramente una vettura viene utilizzata 10-12 ore. Ritengo che ci sia molto da fare, soprattutto in pianura padana, dove densitá abitativa e stagnazione dell’aria nel periodo invernale rendono critica la “rimozione” del particolato emesso per giorni.
Sulla CO2: condivido il miglioramento energetico in questa direzione sugli edifici residenziali. E bisogna continuare cosí per evitare ulteriori sprechi energetici. Ma la CO2 é appunto un altro problema, legato piú al surriscaldamento del pianeta e ai cambiamenti climatici. C’entra poco o nulla con l’nquianmento atmosferico. Nel mondo dei trasporti stiamo lavorando per migliorare anche questo aspetto, ma c’é un grande paradosso: negli ultimi anni siamo stati in grado di produrre vetture diesel con la minor CO2 di sempre e i migliori risultati in termini di emissioni di NOx e particolato. Con la demonizazzione del Diesel, questi miglioramenti servono a poco perché non vengono piú acquistate. E a titolo informativo, il diesel produce molta meno CO2 dei motori a benzina.
Non credo si possano paragonare i due settori, nel settore auto si è investito molto per “Pulire” le emissioni perché non era pronta un tecnologia che non avesse emissioni (tutt’ora l’elettrico non è certo maturo, ha ampi margini di miglioramento).
D’altra parte nel settore residenziale sono già pronte, mature, soluzioni come caldaie a condensazione e pompe di calore(la seconda ha emissioni locali 0), per cui non vedrei il motivo di mettere filtri speciali alle “vecchie caldaie”. Non riesco proprio a paragonare i due settori da questo punto di vista. Sul piano delle risorse pubbliche, credo che nessun settore abbia avuto incentivi simili a quelli del settore residenziale per il miglioramento energetico (55% , ora 110% di detrazione).
È una polemica che sento spesso questa “ma allora i riscaldamenti”….davvero non la capisco